Diversi sono i miei lavori. Alcuni conclusi, altri ancora in corso d'opera, altri in procinto di vedere la luce, altri, ancora, piccoli embrioni, tracce di vita, semplici concetti che attendono, pazienti, di trovare un seguito, un'identità più strutturata. Molti di essi rimarranno però quel che sono: idee fugaci, semplici meteore apparse in un batter d'occhi ed altrettanto inavvertitamente svanite nel nero di un infinito big bang di pensieri.

venerdì 25 giugno 2010

CAMOLA CON VISTA #004


4 Aprile 2002

Dopo due giorni d’inferno in magazzino finalmente riesco a riprendere in mano questi fogli.
Non è facile per me farlo. Dopo oltre vent’anni che non scrivevo, ho deciso di riprendere carta e penna, per raccontare di alcune curiose verità di questo paesino di provincia. O più propriamente di un suo abitante.
Per strane concomitanze mi sono ritrovato tra le mani un’attività che mi dà da vivere. Ora che il mio vecchio se n’è andato, non potrei certo campare con il misero stipendio del giornale.
Invece grazie a “La casa della Camola” vivo bene e mi potrei anche permettere di assumere un garzone per fare i lavori più faticosi. Ma non vorrei che si infrangesse quell’aura di intimità che respiro entrando nel capanno, mentre, ascoltando la radiolina sullo scaffale, preparo le esche per i clienti, le alimento, le allevo, coccolando i loro teneri gusci nelle vasche di crescita.

Credo sia la stessa ragione per la quale Emilio inizialmente non desiderasse la mia compagnia. Avrebbe sicuramente preferito farmi fare le consegne, piuttosto che lasciarmi nel magazzino a maneggiare i suoi bambini. Ma coi clienti, ogni volta, c’è da trattare il prezzo e non poteva certo affidarsi all'abilità di contrattazione di un principiante.
Emilio era un uomo mansueto. Forse anche perché grazie alle sue notevoli dimensioni non si era mai trovato nella condizione di doversi difendere, ostentando un bluff fatto di aggressività teatrale e sperando che il proprio avversario decidesse di non rischiare, per battere spontaneamente in ritirata. I suoi due metri scarsi e la sua corporatura massiccia erano un valido deterrente.
Pochi in verità guardavano con attenzione i suoi occhi; il suo sguardo era placido, mite, cortese, impotente, assolutamente incapace di nuocere. La violenza non era un attributo che facesse parte della sua persona.
Ed in effetti anche la sua morte si è consumata come la sua vita, in un languido mesto fluire verso un sonno eterno, senza grandi stravolgimenti, ansie o pentimenti per le occasioni perdute, senza nessuna stravolgente confessione in punto di morte. Nessuna fine violenta.
Il suo cuore ha semplicemente smesso di battere, certo di aver concluso pienamente il suo compito, dando al suo padrone il piacere di fissare l’ultima occhiata, quella immortale, su qualcosa di piacevole e confortante: le sue piccole camole.
Ed in modo altrettanto tranquillo il suo è diventato mio, un’eredità comoda per una vita comoda, senza eccessi ma nemmeno troppe rinunce.

Acquisita la proprietà di quest’aziendina mi sono sentito in diritto di mettere mano a quei soldi che prima ritenevo non mi spettassero, nell’attesa che un qualche pretendente, in un qualche modo legittimato da un diritto legalmente riconosciuto, li venisse a reclamare.
Ora però sono miei.
Per questo ho deciso di investirli nella ristrutturazione dell’edificio e nella sostituzione di quelle attrezzature vecchie, logore e consumate dall’uso e dal tempo.
Ho iniziato ai primi di dicembre, quando i rigori dell’inverno impongono ai pesci uno stato di relativa quiescenza sotto lo specchio ghiacciato dei laghi e al pari la mia attività rallenta i suoi battiti in un apparente letargo.
Ho iniziato rifacendo il tetto, ristrutturando il sistema di areazione, eliminando montagne di ciarpame che Emilio accumulava in fondo all’edificio, in un piccolo ripostiglio dietro la grossa caldaia rossa, convinto forse un giorno o l’altro di trovarne un’utilità.

Tra le tante cose, c’era una macchina da scrivere, una vecchia Olivetti, senza i pulsanti della “p” e della “f” ed il rullino dell’inchiostro mi si è sfaldato in piccole pagliuzze volatili come cenere, non appena ho soffiato sull’anfiteatro di stecche dei battenti delle lettere, per spostare un po’ di polvere. Un cimelio di grande valore per un appassionato di scrittura come me. Una “lettera 35” di uno scialbo grigio chiaro, completa della sua custodia in dura pelle nera.
C’èra anche una vecchia radio a valvole, con la calandra in legno trapuntata da svariati fori di tarli facinorosi, ma ancora lucida, sotto il suo lenzuolo di polvere. Lucida di un brillante e mieloso color faggio.
Oltre ad un rastrello arrugginito, un vecchio tagliaerba a frusta, un grosso termos a rubinetto, una pesante torcia di ferro e diversi contenitori in cartone pieni di detersivi in polvere indurita dal tempo e dall’umidità, c’era anche un piccolo armadietto di ferro, nascosto nell’angolo più buio del locale. Dentro vi ho trovato una pila di quaderni di svariati colori: verde, rosso, marrone, viola, molti neri e tutti scritti fittamente, a caratteri piccoli e stretti, in un corsivo a tratti limpido e pulito, a tratti quasi illeggibile, come dettato da un sentimento rabbioso e compulsivo.
Sono diari. I diari di Emilio.
L’ho capito dalle date riportate su molte pagine. Date di venti, venticinque anche trent’anni prima. Incredibile. Mi sono ritrovato tra le mani un tesoro. Quell’uomo mi ha lasciato modo di scrutare nella sua esistenza, nelle sue riflessioni, nei suoi turbamenti, permettendomi di carpire i suoi stati d’animo, le sue debolezze, speranze e disillusioni.

E questo mi ha dato un’idea, ha risvegliato uno stimolo da tanto sopito: scrivere.
Raccontare, colorire, dimensionare nell’immaginario il passato di una persona così riservata e singolare, da far passare inosservata ai più la sua morte e ciò che di lui è rimasto tra i vivi.

Ho appena iniziato a leggere i suoi quaderni. Ho voluto aspettare che mi riparassero la vecchia Olivetti, credendola il mezzo migliore per assaporare l’atmosfera di quegli anni, narrandoli e trascrivendoli con uno strumento che appartiene proprio a quei tempi.
Questa attesa, peraltro, mi ha dato modo di trovare il tempo e l’occasione di anticipare a mano le sue memorie con una prefazione adeguata e trovando un titolo altrettanto emblematico.
Nulla di più appropriato mi è parso di “Camola con vista”. Ma faccio sempre in tempo a cambiarlo.

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