Pietro Giuseppe Mavrulis conosce i silenzi del mare greco.
E la luce, che in certe albe affonda il cuore, perché la bellezza è dolore: ci ricorda il nostro essere “imperfette anime in volo”, costrette, troppo spesso, a frequentare la terra.
Ma ha conosciuto anche certi umori sporchi di città, che bussano indiscreti alla coscienza, costringendola a inventarsi ragioni per ricominciare a vivere, ogni mattina. Forse per questo, nel suo libro (e nel suo ieri), cerca la notte, che abbraccia complice l’impreciso vagabondare, tra lucidità improvvise e stordimenti di alcol e canne, nell’illusione che si possano rimandare i conti con la nostra fragilità di “esseri di passaggio”.
Ma certi “sussurri e grida” del mare greco … quelli continuano ad abitare angoli appartati e protetti del cuore, ed è così che anche nei momenti di disperazione, quando il riso inarrestabile ricorda troppo da vicino l’urgenza del dolore, non manca mai la dolcezza, virilmente accettata (lo dico sorridendo), del sentimento più nobile, perché tutti gli altri ricomprende: l’amicizia.
Ho letto così Bacomentale, senza voler a tutti i costi scomodare Charles Bukowski, questo diario a ritroso del tempo che fu, a volte sgradevole, ma mai insincero, e dunque coraggioso, questo viaggiare insieme, del Vecchio e dell’Artista, per affrontare il buio e avere sempre vicino qualcuno, con cui ridere, magari sguaiatamente, della propria disperazione. E questo è, a mio avviso, il libro di Mavrulis, un commovente e significativo atto d’amore.
Vanni Spagnoli
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