Diversi sono i miei lavori. Alcuni conclusi, altri ancora in corso d'opera, altri in procinto di vedere la luce, altri, ancora, piccoli embrioni, tracce di vita, semplici concetti che attendono, pazienti, di trovare un seguito, un'identità più strutturata. Molti di essi rimarranno però quel che sono: idee fugaci, semplici meteore apparse in un batter d'occhi ed altrettanto inavvertitamente svanite nel nero di un infinito big bang di pensieri.

lunedì 25 luglio 2011

VISIONI FATATE - Eppure


Qui di seguito il testo integrale del racconto "Eppure" col quale Pietro ha parteciapato alla raccolta "Visioni Fatate" edito da Delmiglio Editore

E' una variante d'azzurro, quella che va schiarendosi dal piatto orizzonte del lago fino al primo cielo del mattino. Mio nonno è già lì sulle sponde del Garda con la canna da pesca brunita dal riflesso di un'alba che sembra stentare timida il suo ingresso nella cornice del giorno. Bisbiglia al galleggiante che danza una leggera presenza sulla piatta e fredda superficie, cupa di misteriosi presagi. Come lui, insomma, che ora guardo chino di spalle a un quesito che in tanti anni non ha mai ricevuto risposta. Conosco il suo volto affabile e bonario coccolato dal bavero alto del giaccone da pescatore. Conosco le sue parole rassicuranti che profumano di quel bicchiere di Amarone che ogni mattino lo aiuta a sorseggiare con maggiore confidenza la vita. Quello che invece non mi spiego è per quale motivo quelle storie che da bambino ascoltavo con tanto fascino, ora trovino riscontri poco credibili al raziocinio di un adulto.

Ecco perché dopo tanti anni sono qui a cercare una risposta, che fino a pochi giorni fa ancora non aveva domande. Fin quando non ho rivissuto ciò che fino ad ora solo la mia fantasia aveva potuto immaginare, ascoltando e riascoltando i ricordi di quella fiaba raccontatami fino alla noia. Invero, più che una fiaba, sembra la pura narrazione di un evento che ripeteva con tanta precisione da pensare che l'avesse vissuto di persona.

Erano giorni di povertà, trascorsi ai margini di quella guerra devastante di morte che folli convinzioni avevano lasciato nel consumarsi. Un uomo dai calzoni corti, un ragazzo cresciuto troppo presto tra stenti e macerie, come ogni dì cercava di indovinare un’altra giornata di sopravvivenza, armato solo di tanta volontà e di una tirlindana di olivo. Un vecchio pescatore amico di suo padre, partigiano ormai caduto, lo portava con se a pescar di rete insieme ai suoi figli. Salpati dalle Torri del Benaco giunsero presto al largo, prima che le luci tiepide dell’alba iniziassero ad asciugare la brezza dai vestiti.

Fu lì che d’improvviso la sua bava gli offrì in dono un Carpione. Lo trasse ancora battente in coperta. Un bellissimo esemplare di mezzo metro si dibatteva violentemente, quasi fosse consapevole del suo inevitabile destino. Il ragazzo dopo averlo slamato si accinse a lanciarlo insieme al resto del raccolto, quando le sue braccia inspiegabilmente si bloccarono pietrificate dallo sguardo fisso del pesce. Uno sguardo furente e nel contempo triste di atavica rassegnazione.

A te la scelta ragazzo mio! A te il potere di decidere se punirmi del mio antico peccato di disonesta avidità, oppure offrirmi la possibilità di redimermi e offrirti la possibilità di non macchiarti della mia morte!

Chi parlava? Chi sussurrava quella voce soffocata che pareva provenire dal profondo del suo cervello. Il ragazzo si girò su sé stesso a scoprire lo scherzo di qualche altro della ciurma. Ma nessuno, tutti erano affaccendati nel recuperare le reti, anche quel giorno magre di pesce.

Chi allora?

Non cercare negli altri la risposta alla tua decisione. Sta a te risparmiarmi e permettermi di poter espiare un antico peccato!

Il panico colse il ragazzo come un gelido schiaffo alla coscienza. Un brivido attraversò il suo corpo scuotendolo così violentemente da fargli perdere l’equilibrio. La presa intorno alla preda si fece incerta ed il pesce con un guizzo riuscì a saltare nuovamente in acqua.

-Ah … Ma sei stupido! Peschiamo già così poco e te li fai pure scappare!

La voce del vecchio pescatore tuonò alle sue spalle e la vergogna salì vivida sul viso del giovane. Ma ancora la voce lo sorprese, mentre il Carpione appena sfuggitogli saltò fuori dallo specchio nero del lago, come per farsi beffe di lui.

Eppure …

Non ti sarò mai abbastanza grato. Innanzi agli occhi di Saturno ti faccio dono di quello che da lui ferocemente e impietosamente pretesi, solo per traghettarlo su un’isola di quiete riposo.

Il pesce riemerse nuovamente e aprendo la bocca lasciò uscire una piccola sfera d’oro, che contro tutte le leggi della gravità levitò tra le mani del ragazzo.

Tieni caro questo mio piccolo presente. Portalo sempre con te e ogni azione che farai con buoni intenti ti donerà un giorno in più di vita.

Con un altro guizzo il pesce scomparve. Il ragazzo ancora confuso guardò la sfera con stupore. Tutto ciò era impossibile! Eppure …

-Allora? che fai lì come un imbranato … Muoviti! Dacci una mano!

Il vecchio aveva ragione. Non poteva perder altro tempo. Il cielo si stava scurendo minaccioso. Così messo in tasca quell’incredibile dono, lasciò al suo destino la tirlindana ed iniziò a ritirare la rete, sperando, in cuor suo, di farsi perdonare. E così fu. Tutte le volte che le sue mani traevano la paranza, questa si gonfiava di tanto pesce da rischiare di trascinarlo in acqua. Quel giorno il vecchio pescatore fece la più ricca pescata della sua vita.

Ora io sono qui a chiedere a quell’uomo che mi narrò tante volte quella storia, perché io che son medico, son uomo di scienza, l’altro giorno ho sentito una voce raccontarmi nuovamente quella storia a cui da anni non ripensavo. Una voce soffocata e profonda che mi ha ripetuto la stessa fiaba per due giorni e due notti, fino a togliermi completamente il sonno. E solo ora che mi son deciso a venirti a trovare, ha smesso di perseguitarmi.

-… Adesso capisci perché son qui nonno?

Gli sono ancora alle spalle. Attendo una risposta. Non ho avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. Un po’ perché lungo tutti questi anni di rado sono tornato a salutarlo. Un po’ perché ora che sono un quarantenne padre di famiglia mi vergogno a parlargli di queste assurde fantasie da bambino. Lui non da segni di sbeffeggiarmi ma nemmeno di proferir parola. Lo incito. Gli tocco la spalla. Ed il terrore mi assale. Allora gli tocco il collo. E’ freddo. Innaturalmente freddo. E comprendo che non avrò mai quella risposta.

Eppure … tra le mani che ancora impugnano la canna da pesca si nasconde anche un segreto. Lo intravedo luccicante e vivo: una piccola sfera d’oro, nascosta nel palmo, che brilla di un giallo innaturale. E comprendo tutto. Perché non tutto può essere compreso.

A volte va solo accettato..



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